domenica 15 agosto 2010

JOSEPH ROTH - La leggenda del santo bevitore

ADRIANO
         
Una parabola di vita, un racconto senza  tempo.



Nato a Schwabenhof [vicino Brody, Galizia orientale] nel 1894 (morto a Paris nel 1939), di famiglia ebraica, studiò germanistica e filosofia a Vienna dove conobbe Karl Kraus. Partecipò volontario alla prima guerra mondiale, cadde prigioniero dei russi. Dopo queste amare esperienze si diede a una intelligente ma disordinata attività giornalistica a Vienna, Berlin, Francoforte. Emigrò nel 1933. Morì consumato dall'alcool. Esordì con il romanzo La tela di ragno (Das Spinnennetz, 1923) ritratto di un filisteo tedesco avido di potere. In Hotel Savoy (1924) tema di fondo è la delusione del reduce che trova in sfacelo la società prebellica da lui conosciuta. Motivo centrale dell'opera narrativa e saggistica di Roth è la tragica vicenda degli ebrei dell'europa centrale, costretti dal crollo della monarchia austro-ungarica a emigrare verso l'occidente europeo e gli Stati Uniti. Una emigrazione che rinnova l'antica diaspora: un venerando patrimonio religioso e culturale, sintetizzato soprattutto dal chassidismo, viene per sempre di sperso, mentre i superstiti devono subire la contaminazione della civiltà tecnologica occidentale, edonistica e atea. Dopo i saggi di Ebrei erranti (Juden auf Wanderschaft, 1927) è un romanzo ca rico di biblica angoscia, Giobbe (Hiob, 1930). Indagando la causa storica della dispersione dell'ebraismo mitteleuropeo, Roth adombra la "finis Austriae" nel romanzo- capolavoro La marcia di Radetzky (Radetzkymarsch, 1932). E' la storia della famiglia Trotta, di stirpe slovena e contadina, che acquista lustro sui campi di battaglia di Solferino (1859) quando il luogotenente di fanteria Joseph Trotta salva la vita al giovane imperatore Francesco Giuseppe e ne riceve in ricompensa il titolo di nobiltà. "L'eroe di Solferino" è ricordato in tutti i libri di testo dell'impero e trasmette agli eredi il compito di salvaguardare tale eroismo con l'assoluta devozione e il perfetto decoro di fedeli sudditi della monarchia. La loro vita si svolge parallela a quella del longevo imperatore: Carl Joseph irresoluto e debole nipote, le cui modeste vicende di carriera e d'amore occupano buona parte del romanzo, muore in uno dei primi scontri della guerra 1914-18. Il padre, il sottoprefetto Von Trotta, dopo aver atteso nel parco di Schönbrunn l'annuncio della morte dell'imperatore, si lascia morire nell'autunno piovoso che suggella anche la fine di un'epoca. Al tramonto del mondo asburgico e della sua irripetibile dimensione psicologica e ideologica, dedicò anche La Cripta dei Cappuccini (Die Kapuzinergruft, 1938) e La milleduesima notte (Die Geschichte der 1002.Nacht, 1938) breve romanzo in cui "il mondo di ieri" è contemplato con occhio disincantato e limpido, nell'ebbrezza di un distacco che incrina appena il cristallo del- la memoria: Vienna con gli ufficiali e le ragazze innamorate è ormai per sempre solo una fiaba sottratta alla consunzione e alla morte. Il breve amaro racconto La leggenda del santo bevitore (Die Legende vom heiligen Trinker, 1939) può essere considerato un patetico presentimento della fine dello scrittore.


I debiti si pagano. E così anche Andreas, barbone che dorme sotto i ponti della Senna, vive la storia narrata in questo libro tendendo continuamente all’obiettivo ultimo che è quello di saldare un debito di 200$ con niente poco di meno che Santa Teresa. Sì, perchè al vecchio signore che gli dona 200 franchi, Andreas promette che li avrebbe restituiti, lasciandoli come offerta nella cappella di Santa Teresa.



I debiti si pagano, si diceva, e per un barbone, un ultimo, un intoccabile, il denaro può essere uno strumento buono per sentirsi per un effimero attimo ricco, per assaporare un assaggio di borghesia.
Ma se il denaro viene da un debito, il debito va restituito.
Certo una banca si mobiliterebbe per riavere i suoi soldi più gli interessi, ma Santa Teresa? E così Andreas trova più di una tentazione sempre in prossimità del suo obiettivo, e vi cede, che siano donne, alcool, vecchi amici...
Il giudizio dell’autore in questo breve romanzo un pò surreale e un pò bohemièn sembra granitico: nel ripagare i debiti sta la pace dell’uomo, la sua redenzione dal senso di colpa.
Ciò che proprio di questi tempi sta accadendo al mondo può portarci forse a conclusioni diverse sulla natura del debito e sulla sua capacità di portare parità, una volta estinto.
Quando possiamo giudicare savio il comportamento di Andreas? Quando esso diventa mezzo attraverso cui vive le vicende che danno senso ad ogni istante del libro o piuttosto quando si ritrova strenuamente deciso verso il fine ultimo, l’estinzione del debito che coinciderà per un ironico fato con l’estinzione della sua vita stessa?
Recensione a cura di Dimitri Stagnitto

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